February 27, 2020
Comunque
vada, la vicenda del coronavirus non lascerà le cose immutate. Condizionerà la
percezione delle cose e delle priorità da parte delle persone e produrrà
conseguenze sul piano sociale, economico, culturale e politico. Questa è una
delle poche certezze in questi giorni caotici, pieni di legittime paure e di
psicosi più o meno indotte.
Difficile prevedere
oggi cosa e come cambierà, anche perché siamo solo agli inizi e ognuno e ognuna
di noi sta ancora cercando di metabolizzare la nuova situazione. Eppure, siamo
costretti a ragionarci sin d’ora, perché in fin dei conti il nostro futuro non
lo scriverà il virus, ma noi stessi, cioè le persone e le forze sociali,
politiche e istituzionali in campo.
Ma prima di
procedere va fatta una premessa, anzi due, per trasparenza nei confronti di chi
legge.
Primo, non
faccio il virologo e nemmeno il medico generico e penso che non sia molto furbo
pensare di saperne più di loro. Credo, invece, sia molto utile ascoltare quello
che ci dicono su come comportarsi, su come funziona il virus, sulla sua
letalità e sulla sua aggressività. E su quello che dicono non ci sono molti
dubbi, visto che, al netto di qualche protagonismo di troppo, si tratta sempre
della medesima cosa, dalla Cina all’Italia: non siamo di fronte alla peste, ma
nemmeno alla solita influenza stagionale. Quindi, niente panico, ma non
facciamo neanche i pirla.
Secondo, io
sto a Milano, zona gialla, e
quindi vivo sulla pelle tutte le contraddizioni di questa fase iniziale, a
partire dall’incoerenza comunicativa, per usare un eufemismo, delle
istituzioni, regionali e nazionali. Insomma, posso andare al super, prendere i
mezzi e andare al lavoro in un palazzo dove normalmente ci sono oltre 2.000
persone (ora un po’ di meno tra ferie, smart working e qualche collega bloccato
in zona rossa) provenienti da
tutta la Lombardia, ma non posso andare al cinema e in palestra, fare un
presidio o un corteo e fino a mercoledì sera non poteva neanche andare al bar
dopo le 18 (ora sì, ma solo se mi siedo). Certo, nessuno è cretino e tutti
capiamo che va trovata una mediazione tra prevenzione sanitaria e funzionamento
della città e che questo non è facile, ma la continua oscillazione tra annunci
allarmistici e proclami stile “ma è poco più un’influenza” è indubbiamente
indice di una classe dirigente che naviga a vista e di cui la vicenda del
presidente lombardo, Fontana, è più che paradigmatica.
Detto questo,
per ricordarci che stiamo ragionando a caldo, dobbiamo però mettere i piedi nel
piatto dei possibili scenari futuri e del nostro che fare, senza cedere alla
facile e poco edificante tentazione di prendere un qualche nostro schema
conosciuto e applicarlo alla situazione attuale. Invece, mi pare più utile,
oggi e qui, partire dall’individuazione di alcuni temi e contraddizioni che
senz’altro contribuiranno a disegnare gli scenari futuri.
Libertà e
sicurezza: lo Stato autoritario
L’istituzione
di zone rosse, che limitano sostanzialmente la libertà di movimento dei
cittadini, e di zone gialle, dove viene imposto non solo la chiusura temporanea
di alcuni luoghi, ma anche il divieto di assemblee e manifestazioni, è un fatto
inedito nella storia repubblicana e avviene oggi con un largo consenso sociale.
Difficile pensare che tutto questo non lasci il segno.
Diversi
interventi di questi primi giorni hanno, infatti, proposto di riflettere a
partire dal concetto di stato d’eccezione, la cui legittimità uscirebbe
rafforzata dalla gestione di questa emergenza. Ritengo che quelle letture siano
utili e condivisibili, nella misura in cui colgono un nodo centrale, cioè il
potenziale rafforzamento di una tendenza in atto da anni, non solo in Italia,
dal punto di vista delle persone (la famosa “richiesta di sicurezza”, anche a
scapito delle libertà e dei diritti) e delle istituzioni (uno Stato più
autoritario e meno sociale, nel quadro di una crescente disuguaglianza
sociale). Andrebbe aggiunto, integrando lo scenario cinese nella nostra
analisi, che questa emergenza è anche uno straordinario laboratorio per le
strategie di sorveglianza per mezzo dell’intelligenza artificiale.
Tuttavia, se
lo stato d’eccezione dovesse rimanere l’unico strumento d’analisi, ne
conseguirebbe inevitabilmente una lettura monca e distorta dell’attuale
situazione, con l’annesso rischio di scivolare sul terreno del complottismo e
della negazione del rischio sanitario.
Rapporto
uomo-natura: la questione ambientale
Cambiamenti
climatici, crisi ambientale, friday for future, inquinamento, biodiversità,
sostenibilità ecc. Fino all’arrivo del coronavirus i temi ambientali venivano
citati sempre e comunque, a proposito o a sproposito. Ora, invece, stupisce la
loro assenza, se non sotto forma di lamento, tipo “i cambiamenti climatici
uccidono più persone del coronavirus, ma voi parlate solo di quello”.
Sars, Mers,
Ebola e coronavirus sono tutti virus che hanno fatto il “salto della specie”,
passando da un animale all’uomo, magari attraverso un ospite intermedio. La
novità di questi anni non è il salto della specie, che è sempre esistito e
sempre esisterà, ma la frequenza con la quale si verifica questo fenomeno,
normalmente molto molto improbabile. Ma qui entra il campo il fattore umano,
cioè i processi di antropizzazione, la crescente pressione sull’ambiente e la
rottura della sostenibilità.
Già, il
mercato di Wuhan, dove in uno spazio ristretto e in condizioni di promiscuità,
si trovavano un gran numero di umani, animali da allevamento e animali
selvatici. È stato questo contesto a far sì che un evento estremamente
improbabile diventasse probabile. Non a caso, infatti, pochi giorni fa la Cina ha proibito il commercio e il consumo di animali
selvatici.
Secondo gli
scienziati russi, in un futuro non troppo lontano altri virus o batteri, ormai
sconosciuti al nostro organismo, potrebbero liberarsi a causa dello
scioglimento del permafrost, provocato dal riscaldamento globale. Insomma, dal
salto di specie al salto del tempo.
In altre
parole, noi umani, i nostri modelli di sviluppo e il nostro rapporto con
l’ambiente e gli altri esseri viventi c’entrano, eccome. Forse varrebbe la pena
ragionarci con più sistematicità.
Globalizzazione
e sovranismo
Il virus non
rispetta le frontiere e si propaga veloce in un mondo sempre più piccolo,
perché ormai siamo in 7,7 miliardi e ci spostiamo come mai nella storia. E
così, scopriamo che quello che succede nel mercato di Wuhan ci tocca quanto
quello che succede al mercato rionale.
Scopriamo
anche un’altra cosa: non siamo più noi a inneggiare alla chiusura delle
frontiere perché abbiamo paura dell’invasore, ma ora sono gli altri che ci
chiudono le frontiere in faccia perché siamo noi a fare paura.
La paura di
un mondo senza frontiere, dove paghi le conseguenze di un fatto avvenuto
dall’altra parte del mondo, e la paura delle frontiere che si innalzano attorno
a te. Due paure contraddittorie, che possono produrre reazioni opposte, oggi
difficilmente prevedibili, ma che comunque non lasceranno le cose uguali a
prima. Per questo è importante affrontarla subito, per non lasciare tutto il
campo del dibattito a chi vende il prodotto della paura, dei muri e dei mille
confini.
Pubblico e
privato
Pochi se ne
sono accorti o ci hanno ragionato. Siamo in piena emergenza sanitaria, ma
qualcuno di voi ha visto la sanità privata? Beninteso, è ovvio che in una
situazione del genere sia il pubblico ad essere al comando, ma l’assenza e il
silenzio della sanità privata è assordante e contrasta radicalmente con il
protagonismo normalmente esibito, quando si tratta di rastrellare risorse
pubbliche e fette di mercato sanitario.
Se c’è una
cosa che ci insegna la vicenda del coronavirus, in Italia e nel resto del
mondo, è che un sistema pubblico serio e funzionante è la conditio sine qua non per poter
affrontare eventi di questo tipo e garantire la salute di ognuno e ognuna di
noi.
La funzione
del pubblico e i limiti del privato è un tema che ha riacquistato un po’ di
dignità negli ultimi tempi, ma l’attuale esperienza può essere utile per fare
un altro passo avanti.
Sono solo
alcune riflessioni a caldo, perché molto succederà ancora. Ma il futuro è già
iniziato e quindi dobbiamo organizzare e condividere la nostra discussione,
ora. Per non trovarci impreparati, disarmati o con in mano solo vecchi arnesi
quando arriverà il giorno dopo.
I
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